giovedì 7 dicembre 2017

La Débauche Nevermore

La Débauche, “la dissolutezza”, è il nome scelto da Aurélien Camandone e Églantine Clément per il birrificio che inaugurano a giugno 2013 ad Angoulême, Nuova Aquitania, un centinaio di chilometri da Bordeaux e Limoges. La coppia parte con un impianto piuttosto piccolo installato in un locale di 200 metri quadri che consente una capacità produttiva di circa 350 ettolitri l’anno: “fu un errore – ammette Aurélien –  dopo quindici giorni eravamo già senza birra e avevamo richieste superiori al 50% di quanto riuscivamo a produrre”. Ingrandirsi sarebbe la cosa più immediata da fare ma le banche non sono disposte a concedere ulteriori finanziamenti: ricorrono al crowfunding di ulule.com mentre per "vendicarsi" realizzano una birra chiamata “Slap a banker” (schiaffeggia un bancario) dedicata a chi aveva negato loro il prestito.  La produzione cresce lentamente sino a 1500 ettolitri l’anno aiutata anche dall’export verso Russia, Spagna, Belgio e Italia. Qualche mese fa La Débauche aveva annunciato l’inizio dei lavori per l’installazione di un nuovo impianto da 50 hl e la ristrutturazione di nuovi locali (1500 metri quadri) che si trovano a poche centinaia di metri di distanza e che porterà la capacità annuale e 6000 ettolitri; oltre ad un punto vendita di bottiglie per l’asporto sarà anche realizzata una taproom. L’inaugurazione è avvenuta poche settimane fa. 
La produzione attraversa trasversalmente quasi tutti le tradizioni: Belgio e Inghilterra, birre acide, IPA e dintorni, un programma sempre più crescente d’invecchiamenti in botte nelle quali finiscono soprattutto, barley wine, saison e imperial stout. Tra queste spiccano la Big Boy (con peperoncino), la Demi Mondaine (caffè e cacao), l’Amorena (ciliegie) e la  Nevermore che andiamo a stappare.

La birra.
Diversi illustratori e tatuatori si occupano delle grafiche delle etichette: per questa imperial stout, ispirata al racconto “Il Corvo” di Edgar Allan Poe, l’artista L’Encrier Fêlé mi sembra abbia a sua volta attinto delle inquietanti immagini del pittore Francis Bacon. La birra è stata poi invecchiata per un imprecisato periodo di tempo in botti di bourbon (Heaven Hill, se non erro). 
Nel bicchiere è splendidamente nera e forma un sontuoso cappello di schiuma cremosa e compatta dalla lunghissima persistenza. L’aroma non è un manifesto di pulizia ed eleganza ma mostra una bella complessità tutta da scoprire: il dolce della vaniglia si scontra con la “durezza” di tabacco e cenere, legno bruciato, fondi di caffè, pane nero e orzo tostato, frutti di bosco. La sensazione palatale non è (purtroppo) quella di una imperial stout densa e viscosa: ci sono troppe bollicine ma, anche dopo averle stemperate, non c’è particolare morbidezza. Indubbiamente la scorrevolezza ne trae beneficio. La bevuta prosegue in linea retta delineando un’imperial stout piuttosto bilanciata tra la dolcezza di vaniglia e caramello, cioccolato al latte e l’amaro delle tostature, protagoniste di un crescendo che sfocia in un finale piuttosto intenso, rafforzato da una generosa nota resinosa donata dalla luppolatura. Il buio della notte è ormai sceso e arrivano anche note terrose, di tabacco, cenere e  legno affumicato a chiudere il percorso laddove era iniziato. 
Neppure il gusto brilla di pulito e di eleganza ma se ci si accontenta c’è tutto quello che si desidera in un’imperial stout, con l’alcool a dare il suo contributo senza andare oltre le righe. Diciamo che “soffre di quel male” che affligge anche la maggior parte delle imperial stout italiane: poco corpo, poca viscosità, pulizia migliorabile. Sistemate queste cose, si potrà davvero pensare in grande.
Formato: 33 cl., alc. 9.5%, lotto 8/222 (?), scad. 08/2021, prezzo indicativo 6.00 euro (beershop)

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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