venerdì 3 giugno 2016

Magic Rock High Wire Grapefruit

Avevo incontrato Magic Rock per la prima volta nell'estate del 2011, a pochi mesi dal suo debutto, mentre mi trovavo in vacanza in Inghilterra. Il birrificio viene fondato da Richard e Jonny Burhouse, proprietari del beershop Mybrewerytap, a Huddersfield (West Yorkshire); i due fratelli, a quel tempo homebrewer novelli, si sono da subito fatti aiutare dal birraio Stuart Ross (Kelham Island, Acorn e Crown Brewery tra le sue esperienze). Gli impianti sono stati inizialmente posizionati all'interno degli edifici del business di famiglia, una ditta che si occupa di importazione e vendita all’ingrosso di cristalli e pietre naturali; a quest’ultime, appunto, s’ispira il nome “Magic Rock”.
Da quell'estate il birrificio ha svolto un lento ma costante percorso di crescita rinunciando quasi alle bottiglie per concentrarsi solamente sui fusti, che assorbivano in pieno la ridotta capacità produttiva; lo scorso anno è stata inaugurata la nuova sede di Birkby, un sobborgo di Huddersfield, che ha aumentato la capacità a 10.000 ettolitri con la possibilità di arrivare a 70.000 già nel corso del 2016. E' stata anche aperta la Magic Rock Tap, dove potete trovare nove spine e due casks, e soprattutto sono arrivate le lattine, formato scelto per le birre che vengono prodotte tutto l'anno; le produzioni occasionali e stagionali vengono invece vendute in bottiglia.

La birra.
Magic Rock debuttò nel 2011 con due birre ispirate dalla craft beer revolution americana: High Wire e Cannonbal. La stessa ispirazione credo sia anche alla base della versione "grapefruit" della High Wire: impossibile non pensare alla Grapefruit Sculpin di Ballast Point, uno dei primi - se non il primo - esempi commerciali di birra generosamente luppolata alla frutta. La ricetta della High Wire Grapefruit è la medesima della birra base alla quale viene poi aggiunto il pompelmo: malti Acidulato, Golden Promise, Monaco e Vienna, luppoli Cascade, Centennial, Chinook, Citra, Columbus e Magnum.
All'aspetto è dorata e velata con qualche venatura arancio; la schiuma bianca è fine e compatta, cremosa, con un'ottima persistenza. Se avevate dubbi su come sia un'American Pale Ale al pompelmo, l'aroma ve li toglie subito: il frutto domina in lungo e in largo, fresco e fragrante, lasciando molto in sottofondo qualche sentore di ananas e di mandarino. Non c'è davvero altro, l'aromatizzazione è molto pulita e "naturale", ma effettivamente potrebbe lasciare un po' spiazzato chi è alla prime esperienze di birre alla frutta e si trova sotto il naso una spremuta di pompelmo. In bocca c'è innanzitutto una sensazione palatale perfetta: corpo medio, la giusta quantità di bollicine e una grande scorrevolezza che va a braccetto con una consistenza morbida e molto gradevole. I malti forniscono un supporto piuttosto leggero (crackers) ma funzionale a sorreggere il pompelmo che diventa subito protagonista anche del gusto; a bilanciare c'è il dolce della frutta tropicale (ananas e mango), mentre il finale spinge l'acceleratore dell'amaro con una chiusura ricca di resina e di scorza d'agrumi. Non è un Radler ma la caratterizzazione al pompelmo è piuttosto evidente anche al gusto, benché in maniera minore rispetto all'aroma. L'inizio della bevuta fa molto succo-di-frutta, ma progressivamente ritorna in territori più familiari alla nozione di birra, se mi passate la semplificazione, senza rinunciare ad una piccola dose di ruffianeria; il risultato è comunque una birra pulitissima, fresca e fragrante, molto secca e quindi dall'elevato potere rinfrescante e dissetante, che si candida ad essere una delle protagoniste dell'estate ormai alle porte.  
Formato: 33 cl., alc. 5.5%, lotto e scadenza illeggibili, 4.00 Euro (beershop, Italia)

NOTA:  la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio della bottiglia in questione e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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