giovedì 11 giugno 2015

Scarampola Cocca di Mamma

Non riempivano il mio bicchiere ormai dal 2010 le birre del Birrificio Scarampola, “creatura” di  Maurizio “Flibus” Ghidetti, aperto come brewpub nel 2004 a Cairo Montenotte (Sv) nei locali del Palazzo Scarampi (da qui il nome scelto) e trasferitosi poi nel 2008 nella più suggestiva cornice all’interno dei resti del Monastero di Santo Stefano, in Val Bormida, a Millesimo. 
La sua passione per la birra nasce da alcuni anni trascorsi  in Inghilterra, nel corso dei quali accompagna nei weekend un’amica che deve redigere per una rivista specializzata le schede dei pub del Sussex. La sua avversione per il clima anglosassone lo riporta in Italia ma l’amore per la birra è ormai impossibile da estirpare: l’amico Teo Musso aveva nel frattempo aperto Baladin a Piozzo, dove Maurizio inizia a fare il suo apprendistato da birraio. La produzione di Scarampola è da subito partita sottolineando il legame con il territorio circostante:  chinotto di Savona per la blanche “Birra n° 8”, castagne essiccate di Murialdo e Calizzano per la Nivura, miele di castagno delle valli del Bormida per la St. Amè, quest’ultima realizzata per la linea “Abbazia di Santo Stefano” ( assieme a Donna Petronilla, Champale e  Birra del Lupo). Il birrificio utilizza anche il grano saraceno dell’alta Val Tanaro e il luppolo coltivato e raccolto nei terreni adiacenti all’abbazia. 
Nel 2013 a Roma, nel corso della settima edizione di Birre sotto l’Albero, debutta la nuova birra  di Scarampola aromatizzata all'albicocca di Valleggia, presidio Slowfood; un frutto di piccola dimensione, la cui raccolta si concentra in tre settimane tra giugno e luglio. La Valleggia “era presente sulla costa savonese già dalla fine dell’800, raggiungendo il momento di massima espansione negli anni ’50-’60 quando i frutteti si estendevano per centinaia di ettari, da Loano a Varazze. L’albicocca di Valleggia rappresentava il 70% della produzione della provincia”.  La sua produzione ha poi subito un forte calo a partire dagli anni ’70, quando molti terreni furono destinati al florovivaismo e all’edilizia. 
La birra, inzialmente chiamata BirCocca, ha ora mutato il nome in Cocca di Mamma, almeno nell'etichetta anteriore; quella posteriore riporta invece ancora quello originale: lascio a voi esprimere la preferenza. 
Prodotta con  il 30% di albicocche di Valleggia, si presenta nel bicchiere di colore arancio opalescente e forma un buon cappello di schiuma bianca, molto compatta e cremosa, dalla buona persistenza. L'aroma  oltre all'ovvia albicocca presenta sentori floreali, di miele e di pane, arancio e mela: discreta l'intensità, lascia invece piuttosto a desiderare l'eleganza. Al palato è purtroppo afflitta da una carbonatazione molto, troppo bassa, il che non aiuta ad allontanare una birra molto caratterizzata dalla frutta dallo sembrare un "succo". La presenza fruttata dell'albicocca (sia dolce e matura che acerba) è a mio parere troppo invadente, mangiandosi quasi completamente la birra che viene relegata in secondo piano con le sue note di pane e, forse, di agrumi: la carenza di pulizia non aiuta poi nella descrizione. Il gusto procede piuttosto confuso, con una generale sensazione di frutta che, albicocca a parte, non riesco a definire; ma c''è per lo meno una buona acidità finale che rende questa birra-cocktail piuttosto rinfrescante e dissetante. Leggera e scorrevole, Cocca di Mamma svolge quindi la sua funzione primaria (quella di levare la sete) senza però togliere le mie perplessità: ammetto di non averla capita. 
Formato: 75 cl., alc. 5.5%, lotto TO22014, scad. 31/12/2015, pagata 8.50 Euro (enoteca, Italia).

NOTA: la descrizione della birre è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale dei birrificio.

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