martedì 12 maggio 2015

Monyo Brewing Co.: Invisible Bikini Porter, 60 Shades of Nelson Sauvin, Brewsk Willis Imperial American Brown Ale



Gli assaggi delle birre ungheresi non si stanno rivelando particolarmenti soddisfacenti e, visto che si tratta di birre che al momento non sono importate in Italia, mi sembra poco utile presentarvele una ad una; per ridurre il vostro livello di noia ho deciso di accorpare almeno quelle dello stesso produttore.
La Monyo Brewing Co. è probabilmente il microbirrificio che reperirete con maggior facilità a Budapest, visto che gli impianti produttivi sono nella poco attraente periferia orientale, non lontano dall’aeroporto, a 10 chilometri circa dal centro città. Le bottiglie le trovate nei pochi beershop della capitale, mentre il posto migliore dove berle è senz’altro il bar di proprietà, chiamato Monyo  Cafè, che si trova in piazza Kalvin (Kálvin tér 7); in posizione abbastanza centrale è comodamente raggiungibile a piedi con una breve deviazione dai principali percorsi turistici. 
Come al solito in internet non si trova uno straccio d’informazione sul birrificio, neppure in ungherese; comunque,  a scanso di errori commessi da Google Translator, il proprietario si dovrebbe chiamare Pein Adam. Nonostante le birre di Monyo non mi abbiano certo fatto venire la voglia di tornare a Budapest a berle, devo riconoscere che il birrificio ha scelto una bella ”visual identity”, presentando le proprie etichette come poster cinematografici e chiamando le birre con espliciti riferimenti a film, come ad esempio l’APA chiamata  American Beauty e tre birre da me assaggiate.
Partiamo in rigoroso ordine da ABV dalla Invisible Bikini Porter (5.5%), il cui nome si rifà al film horror-musicale  del 1966 The Ghost in the Invisible Bikini (in italiano: Il castello delle donne maledette) diretto da Don Weis.  Malti Maris Otter, Chocolate e Special B, luppoli Magnum e Fuggle. Nel bicchiere è bella, marrone scuro con cremoso cappello di schiuma beige dalla buona persistenza. Al naso di sono pane nero tostato, caffè d’orzo, qualche lieve sentore di mirtilli e di cioccolato al latte, con un discreto livello di pulizia e di intensità. Abbastanza drammatico è invece il calo di livello in bocca; dal colore scuro emergono le tostature ed un po’ di caramello, in uno scenario molto poco pulito. Piuttosto scarsa l’intensità, mentre la consistenza è marcatamente watery con un corpo leggero e poche bollicine: un leggera astringenza “allappa” un po’ il palato e non invita ad aumentare la velocità dei sorsi. La chiusura è amara con un po’ di caffè e delle tostature molto poco raffinate: è una Porter bevibile, non ci sono off-flavors ma l’inizio (aroma) sembrava promettere più di quello che poi arriva al palato. 
Passiamo alla  “60 Shades of Nelson Sauvin” (6,1%):  superfluo indicarvi il riferimento al film-tormentone 2015  delle “50 sfumature di..”.   Si tratta di una White IPA single hop, nella quale il Nelson Sauvin viene aggiunto nel corso della bollitura per ben 60 volte, ossia una al minuto; il riferimento è ovviamente la celebre 60 Minutes IPA di Sam Calagione/Dogfish Head. Oltre al Nelson e al frumento, ci sono i malti Pilsner, Caramel e Acidulated. Il colore è tra il dorato e l’arancio, velato, con una bella schiuma biancastra compatta e cremosa che ha un’ottima persistenza. L’intensità dell’aroma è piuttosto modesta ma c’è una buona pulizia che permette di scoprire i profumi del mandarino e dell’uva bianca, una suggestione di tropicale, una leggera nota acidula del frumento e la banana. Come nella Invisible Porter, anche qui il gusto non corrisponde al discreto livello dell’aroma: pulizia da sistemare, birra lievitosa e un po’ pesante a livello tattile. C’è il caramello, un fruttato dolce poco identificabile (forse tropicale?), c’è l’uva del Nelson Sauvin e la banana del frumento: fin qui non sarebbe neppure malaccio, ma il finale molto sgraziato rovina tutto con un amaro vegetale intenso, ruvido e pesante, assolutamente fuori luogo, che ricorda un po’ la gomma bruciata. 
Concludo per fortuna con l’acuto della Brewsk Willis (7.7%), una (imperial) brown ale generosamente luppolata con Warrior, Cascade e Chinook; i malti utilizzati sono Maris Otter, Carapils, Caramunich e Chocolate). In questo caso il nome scelto non si riferisce ad un film ma ovviamente al rude Bruce Willis.  Bella anche lei,  vestita di marrone scuro con intensi riflessi rossastri: ottima la schiuma, beige, dalla trama fine, cremosa e dalla lunga persistenza. Il naso ha una buona intensità e una bella complessità fatta di toffee, pane nero e caffèlatte; i luppoli un po’ stanchi regalano sensazioni resinose e di marmellata d’agrumi, con quest’ultima che ben s’amalgama in un bouquet olfattivo che sembra quasi preannunciare un dessert, non fosse per le evidenti note terrose e minerali che ogni tanto fanno capolino. In bocca è piuttosto morbida, con poche bollicine ed una consistenza gradevole, leggermente cremosa. Gli elementi del gusto sono un pochino slegati tra di loro ma è un vezzo che le si perdona, perché la bevuta risulta piuttosto buona e soddisfacente: l’ingresso amarognolo di pane nero tostato e un po’ di caffè viene bilanciato dal dolce di caramello, cioccolato al latte, gianduia, marmellata d’agrumi e qualche suggestione di vaniglia e pan di spagna al cioccolato. La chiusura è nuovamente amara di caffè ed eleganti tostature, con una generosa luppolatura terrosa e resinosa a ripulire bene il palato: è una brown ale abbastanza ben fatta, intensa e con una buona pulizia, che si beve con facilità e lascia un morbido tepore alcolico. Quasi un piccolo dessert da assaporare a fine cena. 
A (parziale) discapito del birrificio, c’è da dire che tutte le birre assaggiate avevano scadenza ormai prossima; questo dato non mi dice però molto sulla loro data d’imbottigliamento e quindi sulla loro età anagrafica. Tra i produttori ungheresi assaggiati sino ad ora Monyo mi sembra quello “meno peggio”: due birre da sistemare e tutt’altro che memorabili, una che invece tornerei a comprare molto volentieri. Il giorno in cui porteranno anche le birre al livello delle loro etichette, sarà un successo. 
Nel dettaglio:
Invisible Bikini Porter, alc. 5.5%, IBU 28, scad. 06/08/2015, pagata 2.44 Euro (beershop, Ungheria)
60 Shades of Nelson Sauvin, alc. 6.1%, IBU 43, scad 30/09/2015, pagata 3.14 Euro
Brewsk Willis Imperial American Brown Ale, alc. 7.7%, IBU 41, scad. 06/08/2015, pagata 2.51 Euro

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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