mercoledì 27 maggio 2015

Lost Abbey Saints Devotion


Nel 2006 Lost Abbey è tra i primi birrifici americani, se non il primo, ad offrire un programma di “membership”:  pagando una determinata quota, vi viene garantito l’invio a casa di un determinato numero di birre nel corso dell’anno.  Iscrivendosi al “Patron Saints Club”, avrete la certezza di bere le creazioni “in stile belga” di Lost Abbey (che a quel tempo aveva una distribuzione molto meno importante di quella attuale) senza doverle cercare in giro e, soprattutto, senza rischiare di restare senza. La quota di sottoscrizione comprende solo il costo delle birre, alle quali vengono poi aggiunti i costi di spedizioni ogni volta che questa avviene, indicativamente un paio di volte al mese. 
Qualche mese dopo viene lanciato un secondo club, chiamato “Patron Sinners”, dedicato alle birre più rare, a quelle acide o affinate in botte; si tratta di birre che, a quel tempo, erano prodotte in quantità davvero limitata e spesso non venivano neppure distribuite al di fuori del birrificio, in quanto andavano esaurite poche ore dopo la messa in vendita.  Con l’apertura di questo “club” Lost Abbey vuole dare l’opportunità di berle anche a chi non è in grado di presentarsi di persona a San Marcos; al tempo stesso il denaro raccolto “in anticipo” dalle sottoscrizioni aiuta a finanziare lo sviluppo del programma di affinamento in legno, ovvero l’acquisto di un numero maggiore di botti. La sottoscrizione al club garantiva inoltre la possibilità di acquistare merchandising esclusivo, i biglietti per alcune serate di degustazione riservate ai soci ed alcune birre ad edizioni limitata, come ad esempio Isabelle Proximus 
Giusto per darvi un’idea, i costi iniziali erano di 160 dollari per il Patron Saints (200 membri) e di 235 per il Sinner Club, che ha ospitato, nelle diverse annate, birre del calibro di Red Poppy, Duck Duck Gooze , Deliverance , Framboise Amorosa, Cable Car, Yellow Bus e Angel Share Grand Cru.  Una volta raggiunto il numero massimo di iscritti, eravate inseriti nella lista d’attesa per l’anno successivo che, da quanto leggo, contava 400-500 persone. 
I due club vengono però inaspettatamente chiusi nel 2011; a quanto pare la loro gestione stava diventando troppo complicata e stressante per il ridotto staff del birrificio. Sui forum di Ratebeer ed BeerAdvocate si possono leggere le frustrazioni dei clienti:  lunghi ritardi nelle spedizioni (soprattutto per le barricate, che non erano ancora pronte), difficoltà nel contattare qualcuno del birrificio per chiedere informazioni e, soprattutto, il fatto che a volte queste birre “esclusive” si trovavano in qualche festival o, peggio ancora, in qualche Whole Foods. Alcune birre, come la Mother of All Beers (poi divenuta Judgment Day) ebbero una richiesta dal mercato talmente elevata che non furono inviate ai membri come promesso ma sostituite da qualcos’altro. 
La motivazione di Tomme Arthur è invece un po’ diversa, e chiama in causa soprattutto la difficoltà nel districarsi nel complicato labirinto delle leggi dei diversi stati americani per quel che riguarda la legalità dello spedire direttamente la birra al cliente finale da parte di chi la produce. Inoltre, Arthur vuole avere maggior flessibilità nella produzione delle birre acide e sugli affinamenti in botte senza dover necessariamente essere obbligato a produrre una determinata quantità di una specifica birra per soddisfare il programma dei propri affiliati. La capacità produttiva di Lost Abbey era già parecchio sottodimensionata, al punto che fu chiesto l’aiuto di Vinnie Cilurzo di Russian River per produrre ed imbottigliare la quantità destinata al club della Cuvee de Tomme e della Synergy.
Nel 2008, tra le offerte del Patron Saints Club c’è una versione “brettata” della Devotion, la Belgian Ale di casa Lost Abbey; la birra viene poi riproposta nel 2012, dopo la fine dei club, guadagnandosi la medaglia d’oro al Great American Beer Festival nella categoria 70  “Belgian and French-Style Ale”. Nel 2013 ottiene l’argento alla San Diego International Beer Competition (Hybrid Belgian-Style Ale), entrando così stabilmente in produzione anche per cavalcare la moda del “brett”, ormai dilagante negli Stati Uniti. La versione brettata della Devotion diventa quindi la Saint’s Devotion (etichetta differente) o, come nella bottiglia capitata a me, semplicemente Devotion Ale Saint’s Edition.
Si presenta di un bel color dorato, leggermente velato e sovrastato da un generoso cappello di schiuma avorio, quasi pannosa, dall'ottima persistenza. L'aroma offre un elegante e pulito bouquet che si compone di fiori bianchi, lime e limone, pepe bianco; più in sottofondo i sentori lattici dei brettnomiceti (molto lievi, in verità), ananas, miele, banana e una nota rustica di paglia. Il gusto è un po' meno sfaccettato dell'aroma ma, nella sua relativa semplicità, offre grandissima soddisfazione. Pulitissimo e molto ben bilanciato tra la crosta di pane, il miele, il dolce della polpa d'arancio e della pesca gialla e una rinfrescante acidità. Rappresenta indubbiamente più l'eleganza di un salotto borghese che la rustica campagna raffigurata in etichetta, ma non è una colpa, anzi: molto dissetante e secca, chiude con amaro erbaceo e 'zesty', con una punta di lattico. Corpo medio e bollicine vivaci quanto basta, bevibilità a livelli elevatissimi: il carattere brett forse emerge un po' poco, ma è un vezzo che le si perdona senza nessun rimpianto.
Formato: 75 cl., alc. 6.66%, lotto non riportato, pagata 10.07 Euro (beershop, Belgio).

NOTA: la descrizione della birra è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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