martedì 18 novembre 2014

Dogfish Head Sixty-One

La storia della nascita della Sixty-One IPA del birrificio statunitense Dogfish Head non è delle più incoraggianti, almeno per me:  si narra che i pranzi e le riunioni tra Sam Calagione ed i suoi amici erano di solito “annaffiati” con generose quantità di 60 Minute IPA, una delle flagship beer del birrificio del Delaware; ma Calagione, appassionato bevitore di Syrah (vitigno a bacca rossa) ha un giorno l’idea di fare una specie di blend, versando un po’ di vino in una pinta di birra; a quanto pare il risultato di questa creazione (o aberrazione, a seconda dei punti di vista) piacque molto, al punto che viene messa a punto una vera e propria ricetta per realizzare una versione alternativa della 60 Minute IPA rinominata 61, dove quell’uno in più indica l’ingrediente aggiunto, ovvero il mosto di uve Syrah californiane. 
La birra entra a far parte del “core range” (prodotte tutto l’anno)  di Dogfish, immutato dal 2007, a partire da marzo 2013. Non è il primo matrimonio che si consuma tra vino e birra: Dogfish annovera già la Noble Rot (una saison prodotta con succo di uva non fermentato), la Raison d’Etre  (uvetta), la Mida’s Touch  (uva moscato) e la Red and White (con succo di Pinot nero).  
L’etichetta ripropone il classico schema Dogfish, ma presenta una particolarità: è disegnata da Calagione utilizzando degli “acquerelli” speciali, dove i pigmenti di colore verde e rosso sono stati mescolati non all’acqua ma alla birra ed al vino. E, siccome la birra ben si abbinerebbe al cioccolato, lo sfondo marrone è stato dipinto con del cioccolato fuso. Et voilà.   
Bottiglia non molto fresca (luglio 2014) che ho colpevolmente dimenticato in frigorifero per qualche settimana di troppo. 
Si presenta di color ambrato, con delle vivaci sfumature che richiamano il rosso ed anche il rosa: la schiuma è un bianco sporcato di rosa, fine, poco persistente. L’aroma è vinoso ed aspro, con qualche sfumatura dolce di pesca, frutta secca e floreale (rosa), non c'è molto altro. Se l’inizio non è molto promettente, il gusto lascia ugualmente perplessi: c’è una base di crackers, qualche leggera nota di caramello e di marmellata d’agrumi, l’asprezza dell’uva contrapposta alla dolcezza della fragola e di qualche altro frutto di bosco. E’ molto pulita e bilanciata, poco carbonata, gradevole al palato, con corpo medio. L’equilibrio che ho appena chiamato in causa è quello tra dolce e amaro,  perché nell’incontro tra vino e birra la lotta è impari: senz’altro la bottiglia poco giovane avrà perso un po’ l’apporto dei luppoli, ma della India Pale Ale sbandierata in etichetta  c’è davvero poco, se si eccettua una timida nota amaricante di scorza d’agrumi che arriva proprio alla fine. L’impressione che ho avuto, più che di una birra “compiuta”, è  di bere un bicchiere di vino allungato con una quantità imprecisata di birra, una sorta di miscelato neppure riuscito particolarmente bene. 
Degli altri “incontri” tra vino e birra realizzati da Dogfish ho avuto l’occasione di assaggiare solo Mida’s Touch e Raison d’Etre, entrambe molto più “sensate” e gradevoli di questa Sixty-One che davvero (e mi assumo io la “colpa”, tanto…) non sono riuscito a capire, neppure se progettata appositamente per gli abbinamenti gastronomici consigliati come cotoletta di maiale alla griglia, sushi, frutti di bosco e panna, torta di mele, formaggio gruviera e gouda non invecchiato. Ma c’è anche un abbinamento “musicale” consolatorio: Bonnie “Prince” Billy  ha scritto una canzone chiamata Sixty-One che potete acquistare allo spaccio del birrificio assieme ad un 4 pack.      
Una bevuta che fa rimpiangere le grandi (!) birre al mosto d'uva prodotte da alcuni birrifici italiani (Montegioco, Barley, Loverbeer e Birra del Borgo, per citare quelle che mi hanno maggiormente  impressionato); e se proprio vogliamo fare un confronto più diretto (con chi scrive IPA in etichetta) allora scommetto senza esitazioni su  quella di Brewfist
Formato: 35.5 cl., alc. 6.5%, lotto 11/07/2014, pagata 2.40 Euro (supermercato, USA).

Nota: la descrizione della birra bevuta è basata esclusivamente sull’assaggio di questa bottiglia, e potrebbe non rispecchiare la produzione abituale del birrificio.

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