mercoledì 1 ottobre 2014

Ruhstaller Capt.

Mettetevi comodi, oggi la storia da raccontare è un po' lunga. Sacramento, capoluogo della omonima contea nonché oggi capitale della California, fu fondata nel 1848 dagli svizzeri Samuel Brannan e John Augustus Sutter nel punto di confluenza dei fiumi Sacramento ed American. Il rapido sviluppo della città fu dovuto alla scoperta dell’oro in una miniera di proprietà di Sutter nella vicina Coloma che richiamò migliaia di persona in cerca di fortuna. Sacramento divenne rapidamente un importante porto fluviale per la distribuzione di merci, un centro agricolo e commerciale, un terminale per ferrovie, diligenze e trasporti fluviali, ed il capolinea occidentale della prima, mitica Ferrovia Transcontinentale. Ma non tutti sanno forse che Sacramento, alla fine del 1800, era anche la capitale della birra della West Coast americana, nonché la regione in cui si produceva la maggiore quantità di luppolo: vi operavano circa sedici birrifici e, soprattutto, un intraprendente capitano (onorario) svizzero: Frank Ruhstaller.  Trentacinquenne, sbarca alla metà del diciannovesimo secolo in America; giunto poi a Sacramento, diventa socio della Buffalo Brewery (allora era il maggior produttore di birra ad ovest del fiume Mississippi, ed esportava in Alaska, alle Hawaii ed in Sud America) e nel 1881 fonda il proprio birrificio, la Ruhstaller Brewery, che in breve tempo diventa uno dei marchi più popolari, grazie ad una Lager ed alla Gilt Edge Steam Beer. Qualche anno dopo Rusthaller mette in piedi anche la City Brewery. L’era dell’oro della birra a Sacramento termina negli anni 20 del secolo scorso, con il Proibizionismo: i birrifici chiudono o si mettono (come la citata Buffalo Brewery) a produrre bevande non alcoliche, i contadini convertono le proprie piantagioni di luppolo. La Buffalo Brewery, ad esempio, resiste sino agli inizi del 1970 per poi chiudere definitivamente. 
Oggi a Sacramento operano cinque brewpub e tre microbirrifici, secondo l’elenco di Ratebeer. La storia del Capitano Ruhstaller rivive oggi nel marchio riportato in vita nel novembre 2011 da  Jan-Erik D. Paino (per gli amici semplicemente “J.E.”);  nato a San Francisco nel 1972, laureato a Princeton in architettura con un passato dapprima nell’industria edile e poi nella Real Estate (proprietà immobiliari), si trova per in carico del suo capo (Kipp Blewett) a dover studiare la storia di Sacramento. La sua azienda aveva infatti appena terminato il Citizen Hotel, riconvertendo un vecchio edificio di Sacramento, con un ristorante annesso (Garage) che sposa in pieno la filosofia del Farm to Table, ovvero l’utilizzo di materie prime provenienti da produttori locali. Blewett aveva messo gli occhi sull’edificio del diciannovesimo secolo che un tempo ospitava la Ruhstaller Brewery, per ristrutturarlo e riconvertirlo in qualcosa di redditizio. 
J.E. Paino si ritrova così nella biblioteca di Sacramento a cercare informazioni storiche su Ruhstaller che potessero fornire idee allo studio del progetto immobiliare: si giunge così alla conclusione più logica, ossia  far rivivere a Sacramento l’ancora indimenticato marchio di birra Ruhstaller. Il vecchio stabile avrebbe potuto ospitare una taproom, un ristorante, un brewpub. Elemento determinante per la riuscita dell’operazione, secondo gli imprenditori, è la dimensione “locale”: la nuova Ruhstaller dovrà sottolineare il suo legame con Sacramento utilizzando solo materie locali. E qui nascono i primi problemi: in California non si coltiva molto orzo e, soprattutto, non ci sono malterie. Gli unici birrifici che hanno tentato di utilizzare orzo californiano (ad. es. la Thirsty Bear di San Francisco)  lo hanno dovuto acquistare ai confini con l’Oregon (Eatwell Farms, a Dixon) e poi spedirlo  altrove a farlo maltare, con un notevole aumento dei costi di produzione.  Paino decide di seguire la stessa strada, comprando l’orzo nel Klamath River Basin per poi mandarlo ad una malteria a Vancouver. Secondo problema, il luppolo: il proibizionismo aveva portato alla fine della coltivazione in California, spostandola negli stati di Washington, Idaho e Oregon. L’ultimo grande produttore di luppolo californiano, il Signorotti Hop Ranch di Sloughhouse, aveva chiuso nel 1985. Chiamato a bordo l’esperto birrario di Sacramento Eric Ryan (che ha da poco lasciato, sostituito al momento da tre ragazzi che si alternano a turno), l’avventura  Ruhstaller parte utilizzando luppoli non californiani.   
Qualche mese dopo, J.E. scoprirà che c’è ancora qualcuno che produce e commercializza luppolo, in California: sono le Hops-Meister Farms a Lake County, cento miglia da Sacramento, attiva dal 2007 e di proprietà della famiglia Kuchinski. Nasce allora la seconda birra di Ruhstaller, chiamata Hop Sac 2011 e prodotta utilizzando solamente materie prime Californiane, nonostante i luppoli delle Hops-Meister Farms costino il doppio di quelli reperibili altrove.
Il resto della storia è un racconto tipicamente americano, di sogni e di controsensi, di verità, di (forse) leggende, di orgoglio. Si dice che il primo cliente di Ruhstaller fu la Corti Brothers  un distributore di prodotti Gourmet, che ordina dieci cartoni di '1881' (una Red Ale) senza averla neppure assaggiata.  J.E. Paino chiede se quei dieci cartoni fossero il loro fabbisogno trimestrale, o annuale: “No, li vogliamo tutti adesso”, rispondono.  Dopo una settimana, Paino riceve un ordine per altri dodici cartoni; preoccupato, telefona subito a Corti: “Le birre che abbiamo appena mandato si sono rotte? Abbiamo sbagliato a consegnare?” . “No, - rispondono – le abbiamo già vendute tutte; ce ne servono delle altre”. Corti è un ottimo distributore della nuova Ruhstaller, ma c'è qualcosa che non lo convince; un giorno convoca nei propri uffici Paino per dirgli: "tu sei quello che scrive Ruhstaller e Sacramento sulle bottiglie. Ma non ti meriti di usare quel nome, se non usi luppoli coltivati qui vicino".  La sfida è lanciata: ricominciare a coltivare luppolo nei dintorni di Sacramento: dopo aver ricevuto molti rifiuti (incluso quello degli ultimi grandi coltivatori di luppolo californiano, la famiglia Signorotti), riesce a convincere la famiglia McNamara proprietaria delle Sierra Orchards, 50 chilometri ad est di Sacramento. Nonostante i McNamara non abbiano mai avuto nessuna esperienza con il luppolo, in tutta fretta viene messo in piedi un luppoleto che, ad agosto, consente di  realizzare la  Hop Sac 2012. 
Sarebbe una storia davvero molto bella, se non si dimenticasse un importante dettaglio: Ruhstaller non è un birrificio vero e proprio, non ha impianti. Si presenta come la birra di Sacramento, ma quasi tutte  le birre vengono poi concretamente realizzate alla Hermitage Brewing Co. di San Jose, quasi 200 chilometri a sud. Il progetto di mettere in piedi un proprio birrificio c'è, ma si parla del 2015, e non necessariamente a Sacramento, dove i prezzi non sono molto convenienti; più imminente è invece l'apertura di una taproom, adiacente ai locali di Sacramento dove attualmente ci sono gli uffici commerciali e dove vengono immagazzinate tutte le birre prodotte.
La maggior parte delle informazioni sopra riportate sono state prese da questo lungo ma interessante articolo. 
Tempo di bere, e di stappare una lattina di Capt., abbreviazione che identifica ovviamente "il capitano", Frank Ruhstaller. Si tratta di una Black IPA, lanciata a Novembre 2012, le cui materie prime sono orzo Metcalf e Copeland, luppoli  CTZ, Cascade, Centennial e Citra. Arriva in una bella lattina color argento  che porta attaccata una normale etichetta "da bottiglia". Il colore è marrone scurissimo, con riflessi rossastri ed una schiuma beige cremosa e compatta, molto persistente. Il naso è fresco e pulito, con una bella macedonia di frutta che include pompelmo e mango, papaya, melone retato, ananas, pesca gialla. C'è anche qualche sfumatura di aghi di pino e, solo a temperatura ambiente, leggeri sentori di pane nero e di tostature. L'impressione di bere una West Coast IPA "solamente" vestita di nero è evidente anche in bocca: se si eccettua un rapidissimo imbocco maltato di pane nero e terroso, tutta la bevuta è caratterizzata da dolce frutta tropicale (mango, ananas, pompelmo) e da un finale amaro - non molto intenso - con resina, pompelmo e qualche nota terrosa. Pulita e ben fatta, alcool (7.6%) praticamente non pervenuto, è una birra abbastanza ruffiana e piaciona, ricca di frutta dolce e fresca con l'amaro che sembra voler solamente portare equilibrio, più che marcare il territorio. Il risultato comunque è molto piacevole, con freschezza e fragranza che giocano un loro chiave nel rendere la bevuta vivace e gustosa. Il corpo è medio, con poche bollicine e un ottimo mouthfeel. 
Formato: 35.5 cl., alc. 7.6%, IBU 55. lotto e scadenza non riportati, pagata 2.95 Euro ($ 3.89, food store, USA).

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