lunedì 9 giugno 2014

Carlow O'Hara's Irish Pale Ale

In Irlanda, all’inizio del diciannovesimo secolo, erano operativi più di duecento birrifici, una cinquantina dei quali solo a Dublino ed 8 nella piccola città di Carlow, un’ottantina di chilometri a sud della capitale; la storia del declino brassicolo irlandese, è la stessa che ha caratterizzato anche la vicina Inghilterra. Chiusura di un numero sempre più alto di birrifici e di pubs, acquisizioni fatte da grandi gruppi, mercato in mano alle multinazionali, gusti standardizzati. Solo negli ultimi anni la tendenza si è lentamente invertita, con alcuni microbirrifici che hanno aperto i battenti, ispirati dalla Craft Beer Revolution nata negli Stati Uniti; al momento in Irlanda ci sono circa una ventina di microbirrifici, più della metà dei quali sono stati aperti negli ultimi cinque anni. Mi è toccato citare ancora una volta la Craft Beer Revolution Americana, perché è stata l’ispirazione che ha fatto nascere la  O’Hara’s /Carlow Brewing Company, fondata nel  1996 da Seamus ed Eamonn O'Hara a Carlow. Seamus era rimasto favorevolmente colpito, agli inizi degli anni novanta, dalle birre di Samuel Adams, Sierra Nevada, Anchor ed Harpoon incontrate durante un viaggio negli Stati Uniti.  Il birrificio che nasce è completamente a gestione familiare: mentre il fratello Eamonn abbandona quasi subito, per trasferirsi a Bruxelles, Seamus manda avanti le operazioni con l’aiuto dell'altro fratello Michael (head brewer), della moglie Kay (commerciale) e di sua sorella Siobban (amministrazione), mentre lo zio Michael segue la logistica e un altro zio, Terrance, si era occupato della ristrutturazione degli spazi che ospitano il birrificio, in origine un magazzino delle ferrovie. Le prime birre debuttano nel 1998 e, con grossa sorpresa per un birrificio irlandese, non c’è nessuna stout!  Si parte con una classica Red Ale (Moling's Traditional Celtic Beer) ed una birra al frumento (Curim Celtic Gold); fin da subito la maggior parte delle birre (70% della produzione) sono destinate all’estero, anche perché gli irlandesi non sembrano gradirle molto. La prima stout arriva solamente nel 2002: “in quanto irlandesi, sapevamo di dover produrre una stout.  Ma ci è voluto un po’ più di tempo per fare una stout come piaceva a noi”, dice Seamus. La O'Hara's Celtic Stout viene subito nominata, nello stesso anno del debutto, come “la migliore stout al mondo“ tra altre 74 stout che vengono valutate mel corso del Millennium Brewing Industry International Awards. Carlow/O’Hara è dunque uno dei precurosi della (piccola) rivoluzione brassicola che sta pian piano prendendo piede anche in Irlanda; nel 2006 si è reso necessario uno spostamento in locali più ampi a Bagenalstown, la città nativa degli O’Hara, per nuovi impianti che consentono di produrre circa 15.000 Ettolitri l’anno, la maggior parte dei quali (60%) continua ad essere esportata. 
E torniamo a parlare di Stati Uniti, perché in verità non c'è molta Irlanda in questa birra che pur sbandiera in etichetta Irish Pale Ale; nonostante la luppolatura sia infatti un mix di luppoli europei ed americani, sono soprattutto questi ultimi a prevalere, grazie anche ad un generoso dry shopping di Cascade. All'aspetto è dorata, quasi limpida, con una bella testa di schiuma croccante, bianca e cremosa, dalla lunga persistenza. L'aroma non è particolarmente intenso, apre con qualche lieve off-flavor che poi fortunatamente tende a scomparire per lasciare posto a lievi sentori floreali, di cereali e, finalmente di agrumi (pompelmo).  Meglio in bocca: morbida, con corpo tra il medio ed il leggero, carbonazione abbastanza moderata, scorrevole e watery. La base di malto offre pane e cereali, lievi note di miele, prima che il gusto viri verso gli agrumi, passando in rassegna prima la polpa dell'arancio e poi la scorza del limone e del pompelmo. La bevuta risulta ben bilanciata, con l'intensificarsi dell'amaro nel finale, decisamente zesty, ma che si porta in dota anche una piccola nota metallica un po' sgradevole. Una bottiglia che non è un elogio della fragranza, la mancanza della data d'imbottigliamento rende impossibile sapere quanti mesi di vita ha questa birra, ed il trattamento privo di guanti che la ha forse riservato la grande distribuzione ha probabilmente dato il colpo di grazia ai profumi del dry-hopping. Risultato: birra poco profumata, discretamente intensa e gradevole in bocca, qualche difettuccio, buona secchezza e buon potere dissetante, facile da bere. Ci si può accontentare.
Formato: 50 cl., alc. 5.2%, IBU 50, lotto 3297 23:18, scad. 28/04/2015, pagata 3,99 Euro (supermercato, Italia).

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